Attività

30/10/2010 - Empedocle e Ferdinandea : i vulcani del canale di Sicilia

Vulcani e petrolio “E’ cosa scellerata ipotizzare ricerche petrolifere in un campo minato qual è il Canale di Sicilia. Mai una mente razionale, dopo avere registrato il disastro ambientale inarrestabile del golfo del Messico, progetterebbe di piazzare una piattaforma petrolifera in questo tratto di mare, disseminato dei crateri di un grande vulcano che riposa, ma non dorme”. Lo ha detto il dott. Domenico Macaluso, ispettore onorario dell’Assessorato ai beni Culturali della Regione Siciliana e responsabile del Nucleo Operativo subacqueo della Lega navale Italiana sezione di Sciacca. L’occasione: la conferenza su “Empedocle e Ferdinandea: i vulcani del Canale di Sicilia”, che lo stesso ha tenuto nel salone delle conferenze della Banca don Rizzo di Alcamo su invito del presidente del locale Rotary Club, Andrea Ferrarella. Macaluso ha raccontato che”l’idea malsana, è venuta ad una società di ricerca petrolifera irlandese, la San Leon Energy, una società di comodo, con un capitale sociale ridicolo, di soli 10.000 euro, dietro la quale non si sa chi si realmente ci sia; la scoperta dello scellerato progetto, è avvenuta per caso, dopo il riscontro all’Albo Pretorio del Comune di Sciacca, di una istanza, nella quale risultava allegato, uno studio sull’impatto ambientale, vergognosamente impreciso e palesemente falso! La notizia del progetto di ricerca e l’ipotesi di piazzare piattaforme da estrazione a meno di due chilometri da Capo San Marco a Sciacca (proprio quello dell’esplosione della sacca di metano, l’estate scorsa!), ha scatenato un forte presa di posizione da parte di associazioni culturali, ambientalistiche e degli stessi Comuni interessati, con la costituzione di un agguerrito comitato, che ha preso il nome di Stop alla Piattaforma”. Ed ecco, secondo quanto ha detto Macaluso, quali sono concretamente i rischi connessi alla ricerca ed alla estrazione di petrolio in questo tratto di mare? - La semplice ricerca del petrolio, che viene condotta con una sonda chiamata Air Gun, avrebbe effetti negativi per l’ecosistema e comporterebbe un danno rilevante per la pesca (principale fonte economica per la zona di Sciacca e Mazara), in quanto questo strumento di ricerca, per creare onde sismo-elastiche, spara colpi di aria compressa, che fa scappare il pesce adulto, ma uccide il novellame! - La presenza di piattaforme petrolifere, fisiologicamente inquinanti, sarebbe disastroso per il peculiare ambiente marino straordinariamente intatto, di questo tratto di Canale di Sicilia, per non parlare dell’impatto negativo, in una zona vocata al turismo, che ospita eleganti residence, come il complesso Sciacca Mare, Torre Makauda ed il raffinato Golf Resort di sir Rocco Forte. - Il rischio maggiore, verrebbe rappresentato dalle manifestazioni del vulcanesimo di questa area: proviamo ad immaginare cosa accadrebbe, se un’onda sismica, se l’onda d’urto di una esplosione di gas o se un’eruzione investisse una piattaforma: assisteremmo a quello che è accaduto in Luoisiana dopo l’incidente alla piattaforma Deepwater Horizon! - Non bisognerebbe, ancora, sottovalutare un altro aspetto, poco tenuto in considerazione: molti studi scientifici, hanno dimostrato che l’estrazione di petrolio, aumenta la sismicità dell’area interessata all’estrazione e l’area, è già fortemente sismica; inoltre l’emunzione di petrolio o di gas naturale comporta il rischio dell’insorgere di un fenomeno chiamato “subsidenza antropica”, cioè il collasso di un tratto di crosta terrestre, che sott’acqua potrebbe generare onde anomale, cioè tsunami! Significative, in tal senso, le note conclusive del parere espresso dall’Ufficio Tecnico del Comune di Sciacca: “È più che mai necessario, vitale, salvaguardare l’unicità dell’ambiente marino, tutelate le biodiversità che in esso convivono, garantire il futuro economico delle popolazioni che si affacciano in questo mare, inibendo ... ogni attività potenzialmente inquinante, al fine di riconsegnare alle generazioni future, in Mare Nostrum crocevia di civiltà antiche e moderne, nella sua integrità e non un’infernale palude stigia!” Il sospetto che un tratto di mare dal punto di vista geologico, inquieto, come quello prospiciente la costa sud- occidentale della Sicilia, celasse nei sui fondali dei vulcani, a parte quello noto (Ferdinandea), si è concretizzato nel 2006, con la scoperta, di una grande complesso vulcanico che ho battezzato Empedocle. Ma non è tutto, in quanto nel corso della crociera oceanografica, i sofisticati strumenti in dotazione alla nave da ricerca utilizzata, la Universitatis, hanno dimostrato che il vulcanesimo di questo tratto di Mediterraneo, vicinissimo alle nostre città, è più che mai attivo. Sono state infatti identificare delle fumarole di grande portata e segni inequivocabili, di recenti eruzioni sottomarine. Tutto questo spiega la frequenza dei terremoti di forte intensità, che si registrano in quest’area, come quello del 12 aprile del 2007; il 13 aprile, sorvolando con l’elicottero della Protezione Civile il tratto di mare epicentro di quel terremoto, notammo che l’acqua ribolliva in modo impressionate. Ancora più forte, di magnitudo 4,2 Richter, fu il terremoto del 19 marzo 2009! La potenza di questi eventi sismici, può essere interpretata, osservandone gli effetti, come lo sgretolamento di vecchi edifici vulcanici sottomarini, causato dalle violente onde d’urto, con conseguente liberazione, dopo ognuno di questi terremoti, di tonnellate di pietre pomici, che si spiaggiano nei giorni successivi, lungo le nostre coste. Infine, non sono meno eclatanti, le periodiche esplosioni sottomarine di sacche di metano, come quella verificatasi la scorsa estate, poco al largo di Capo San Marco, a Sciacca. Da quanto sopra esposto, l’ultima delle cose che una mente razionale farebbe, sarebbe la trivellazione per l’estrazione di idrocarburi, in questo tratto di mare, disseminato dei crateri di un grande vulcano, che riposa, ma non dorme! Mai una mente razionale, dopo avere il disastro ambientale inarrestabile del golfo de Messico, progetterebbe di piazzare in un campo minato, una piattaforma petrolifera ...o no? Ebbene l’idea malsana, è venuta ad una società di ricerca petrolifera irlandese, la San Leon Energy, una società di comodo, con un capitale sociale ridicolo, di soli 10.000 euro, dietro la quale non si sa chi si realmente ci sia; la scoperta dello scellerato progetto, è avvenuta per caso, dopo il riscontro all’Albo Pretorio del Comune di Sciacca, di una istanza, nella quale risultava allegato, uno studio sull’impatto ambientale, vergognosamente impreciso e palesemente falso! La notizia del progetto di ricerca e l’ipotesi di piazzare piattaforme da estrazione a meno di due chilometri da Capo San Marco a Sciacca (proprio quello dell’esplosione della sacca di metano, l’estate scorsa!), ha scatenato un forte presa di posizione da parte di associazioni culturali, ambientalistiche e degli stessi Comuni interessati, con la costituzione di un agguerrito comitato, che ha preso il nome di “Stop alla Piattaforma”. Ma quali sono concretamente i rischi connessi alla ricerca ed alla estrazione di petrolio, in questo tratto di mare? - La semplice ricerca del petrolio, che viene condotta con una sonda chiamata Air Gun, avrebbe effetti negativi per l’ecosistema e comporterebbe un danno rilevante per la pesca (principale fonte economica per la zona di Sciacca e Mazara), in quanto questo strumento di ricerca, per creare onde sismo-elastiche, spara colpi di aria compressa, che fa scappare il pesce adulto, ma uccide il novellame! - La presenza di piattaforme petrolifere, fisiologicamente inquinati, sarebbe disastroso per il peculiare ambiente marino straordinariamente intatto, di questo tratto di Canale di Sicilia, per non parlare dell’impatto negativo, in una zona vocata al turismo, che ospita eleganti residence, come il complesso Sciacca Mare, Torre Makauda ed il raffinato Golf Resort di sir Rocco Forte. - Ma il rischio maggiore, verrebbe rappresentato dalle manifestazioni del vulcanesimo di questa area: proviamo ad immaginare cosa accadrebbe, se un’onda sismica, se l’onda d’urto di una esplosione di gas o se un’eruzione, investisse una piattaforma: assisteremmo a quello che è accaduto in Luoisiana, dopo l’incidente alla piattaforma Deepwater Horizon! -Infine, non bisognerebbe sottovalutare un altro aspetto, poco tenuto in considerazione: molti studi scientifici, hanno dimostrato che l’estrazione di petrolio, aumentala la sismicità dell’area interessata all’estrazione e l’area, è già fortemente sismica; inoltre l’emunzione di petrolio o di gas naturale, comporta il rischio dell’insorgere di un fenomeno chiamato “subsidenza antropica”, cioè il collasso di un tratto di crosta terrestre, che sott’acqua potrebbe generare onde anomale, cioè tsunami! Significative, in tal senso, le note conclusive del parere espresso dall’Ufficio Tecnico del Comune di Sciacca: “È più che mai necessario, vitale, salvaguardare l’unicità dell’ambiente marino, tutelate le biodiversità che in esso convivono, garantire il futuro economico delle popolazioni che si affacciano in questo mare, inibendo ... ogni attività potenzialmente inquinante, al fine di riconsegnare alle generazioni future, in Mare Nostrum crocevia di civiltà antiche e moderne, nella sua integrità e non un’infernale palude stigia!” La storia del ritrovamento di Empedocle, vulcano del Canale di Sicilia Al largo di Seccagrande, di fronte a Sciacca, a una trentina di chilometri dalla costa meridionale siciliana, riposa, ma non dorme, Empedocle. Nessuno ne conosceva l’esistenza fino al 21 giugno del 2006, quando nel corso di una conferenza stampa organizzata a Roma dalla società di produzioni televisive GA&A, dal Consorzio Nazionale Inter- Universitario per le Scienze del Mare (CONISMA) e da MEDIASET, ne fu data notizia: giorni prima lo aveva “visitato”, primo in assoluto, Domenico Macaluso, chirurgo con la passione delle immersioni. Empedocle, però, non è il filosofo agrigentino. E’ un gigantesco complesso vulcanico, grande, più o meno, come l’Etna, “attivo – dice il dott. Macaluso - come dimostrano le fumarole di grande portata identificate e segni inequivocabili di eruzioni sottomarine”. La scoperta non è roba da poco: aiuta a dare spiegazioni ad una serie di fatti: dall’evento catastrofico che nel 365 d.C. che distrusse moltissime città della Sicilia, alla storia di Ferdinandea, l’isola che non c’è più (emersa di fronte a Sciacca nel giugno del 1831 si inabissò pochi mesi dopo mentre se ne contendevano il possesso il Regno delle due Sicilie, l’Inghilterra e la Francia), al più recente terremoto del 19 marzo 2009. E se Empedocle dovesse svegliarsi? L’interrogativo se lo pongono in tanti perchè un’esplosione in mezzo al mare potrebbe sprigionare un’onda anomala pronta a spazzare, per centinaia di chilometri, le coste del Mediterraneo. Ne hanno parlato, per esempio, domenica 31 ottobre scorso, a “Report”, su RAI 3, all’interno di un servizio, dopo i disastri nel Golfo del Messico, sui danni ambientali provocati dal greggio in relazioni alle nuove ipotizzate, e forse alcune autorizzate, ricerche petrolifere nel Canale di Sicilia (a parte riportiamo le dichiarazioni del dott. Macaluso). Difficilissimo, comunque, dire che cosa potrebbe accadere, mentre sarebbe più facile ed opportuno cominciare a pensare a prevenire. Intanto conosciamo la storia di Empedocle per bocca dello stesso Domenico Macaluso, recentemente invitato dal presidente del Rotary Club di Alcamo, Andrea Ferrarella, per una conferenza, nel salone della Banca don Rizzo, su “Empedocle e Ferdinandea: i vulcani del Canale di Sicilia”. La ricerca La scoperta di Empedocle non è casuale. La ricerca, infatti, parte nel 1999 quando Macaluso, responsabile del Nucleo Operativo Subacqueo della Lega Navale Italiana di Sciacca e presidente del Club Seccagrande, coordina per conto dell’Ordine dei Geologi della Sicilia, diverse missioni subacquee sui resti dell’isola Ferdinandea, documentandosi anche con materiale storico, sulle eruzioni registrate nel Canale di Sicilia. Il 5 marzo del 2003, poi, un forte terremoto viene registrato nel Canale di Sicilia e Macaluso nota che l’evento sismico è stato accompagnato dallo spiaggiamento di tonnellate di pomici lungo le coste agrigentine. Raccoglie dei campioni e li fa analizzare dalla dott.ssa Anna Corsali (INGV di Catania): l’indagine petrografica evidenzia che si erano liberate non in seguito ad una eruzione sottomarina, ma per crollo di un edificio vulcanico sconosciuto, in seguito all’onda d’urto del terremoto. Macaluso si convince, più di quanto lo fosse prima, che il Canale di Sicilia nasconde vulcani potenzialmente pericolosi e comincia a promuovere attraverso i mezzi di informazione l’esigenza di una ricerca. Trova una risposta dalla società di produzione televisiva romana GA&A Production interessata alla realizzazione di un documentario sulla ricerca di questo ipotetico vulcano, ricerca che era stata provata senza successo dall’Istituto Idrografico della Marina nel 2003 e nel 2005. La GA&A Production si rivolge al CONISMA, ente di ricerca statale universitario, e la missione diventa operativa il 30 aprile quando il gruppo di ricerca salpa da Sciacca a bordo della nave oceanografica Universitatis dotata di sofisticati strumenti di ricerca, tra i quali un ecoscandaglio multibeam ed un side scan sonar. La ricerca si protrae fino all’8 maggio 2006 con i tecnici che si alternano ogni 4 ore, giorno e notte, ed a bordo, oltre a Macaluso, ci sono il dr. Gianni Lanzafame dell’INGV di Catania, i tecnici, l’equipaggio e la troupe televisiva diretta dal noto documentarista Tullio Bernabei, la dott.ssa Rossana Sanfilippo, paleoecologa e la dott.ssa Alba Santo, petrografa dell’Università di Bologna. La scoperta “Elaborando ed analizzando i dati che venivano acquisiti, alla fine ci i è resi conto che i banchi che nella cartografia ufficiale si estendono al centro dei quel tratto di Canale di Sicilia compreso tra Sciacca-Seccagrande-Siculiana e Pantelleria, indicati come banchi isolati anche se contigui (banco di Graham, banco Avventura e banco Terribile), non sono altro che un unico complesso vulcanico che copre un’area vasta circa 35 X 20 km! Da questa grande piattaforma sottomarina che si erge da batimetriche che oscillano dai 300 ai 400 metri di profondità (con fosse anche di 640 metri), si ergono vari crateri più o meno vecchi, che hanno rappresentato nel tempo le bocche eruttive del grande vulcano. Il giornalista Attilio Bolzoni, per rendere più comprensibile la morfologia di questo complesso, lo ha paragonato ad una torta dalla quale spuntano tante candeline. In effetti, osservando una splendida ricostruzione tridimensionale dell’apparato vulcanico, si vedono molti crateri ergersi dalla base del vulcano e tra questi, anche i resti dell’isola Ferdinandea. La campagna di ricerca oceanografica a bordo della Universitatis, ha ottenuto un altro grande risultato scientifico, per me motivo di grande soddisfazione: il rinvenimento di un cratere vulcanico al largo di Seccagrande, cercato per anni da navi oceanografiche come la Bannok, l’Aretusa e la Galatea, ma mai localizzato e che è stato trovato grazie ad una intuizione degna di Dan Brown, nel Codice da Vinci. La cartografia che va dalla fine del 1800 ad oggi, riporta al largo delle coste agrigentine, un picco isolato che da un fondale in media di 300m si innalza fino a -45 metri dalla superficie: sicuramente un vulcano. Le precedenti esplorazioni di tale zona, effettuate dagli altri ricercatori anch’esse con il multibeam, avevano dato esito negativo ed anche noi, all’inizio della nostra ricerca, non lo avevamo trovato nel punto indicato nella carte: addirittura invece che un picco, esisteva una vasta depressione di oltre 600 metri! I dati relativi alla presenza di questo vulcano, si rifacevano ad un evento testimoniato dal vulcanologo Giuseppe Mercalli, che riportava in un suo libro, la disavventura del vascello inglese Victory, che nel 1845 rischiò di affondare, per essersi ritrovato nel bel mezzo di una eruzione marina. Mercalli riportava anche le coordinate, ma in quel punto non si era trovato nulla. Dopo le prime fasi di ricerche negative, ho intuito che alla fine del 1800, quando scriveva il Mercalli, il primo meridiano era già posto a Greenwich, ma le coordinate registrate dal comandante del vascello inglese erano del 1845 ed in quell’epoca, il primo meridiano per convenzione, era posto sull’isola di Ferro, nelle Canarie. Ho suggerito dunque all’ufficiale di rotta dell’Universitatis di spostare le nostre ricerche ad ovest, mantenendoci sullo stesso parallelo e immediatamente abbiamo trovato un cratere del diametro uguale a quello del Colosseo (circa 110 metri), dalle caratteristiche morfologiche di un vulcano esplosivo, cioè non come un cono, caratteristica del cratere da eruzione, ma slargato e basso: anche questa forma può confermare che si tratta dei resti dell’esplosione sottomarina del 1845 o di quella notata dall’ammiraglio De Zara nel 1942, durante la battaglia di Mezzo Giugno. Abbiamo quindi fatto immergere un veicolo automatico munito di telecamera, il ROV, per vedere se c’era vita o se si trattasse di un vulcano ancora attivo e dopo avere costatato che dentro il cratere c’erano esseri viventi (pesci ed alghe), ho effettuato, primo in assoluto, una immersione all’interno del cratere, per prelevarne del basalto: ecco perché, forse immodestamente, ho voluto registrare come “ Mac. 06 ” (sigla del mio nome), questo cratere”. Il nome Ho invece deciso di chiamare il grande complesso vulcanico “Empedocle”, in primo luogo poiché il grande filosofo del IV sec. a.C. era nativo di Agrigento (e questo vulcano è prospiciente la provincia della città dei templi), ma anche perché questo straordinario personaggio vissuto a cavallo tra la 75° e la 90° olimpiade, fu filosofo, medico (suoi i primi studi sulla fisiologia della vista e fondatore della prestigiosa Scuola Medica Siciliana), fisico (sue le prime esperienze sul peso dell’aria e la pressione atmosferica, ben prima di Torricelli), poeta (ebbe l’onore della lettura delle sue poesie nel corso delle olimpiadi), ma soprattutto per essere stato un grande naturalista, colui che per primo nella sua opera de Reum Natura, parlò dei 4 elementi ingenerati e incorruttibili, Aria- Acqua-Terra-Fuoco. Infine e non per ultimo, perché Empedocle, forse in un delirio di grandezza, decise di scomparire senza lasciare traccia del suo corpo, come un dio e per questo si gettò nel cratere dell’Etna; ma secondo la tradizione il vulcano, irritato da tanta arroganza, espulse con la lava uno dei suoi sandali, pietrificato, per smascherare il trucco; nel luogo ove venne rinvenuto il sandalo, fu edificato un tempietto ancora oggi ricordato come Torre del Filosofo. “Il vulcano, nel corso dei secoli – ha spiegato Macaluso - ha dato eruzioni e formazioni di isole come la Ferdinandea, che prima di oggi era considerato un vulcano isolato, mentre alla luce della recente scoperta, si è compreso che questo, come tanti altri crateri identificati in questa area, non sono altro che coni eruttivi accessori, di un unico grande vulcano”. Non si è pervenuti ad una scoperta così rilevante per caso o perché i tecnici della nave Universitatis del CONISMA, sono stati così fortunati da trovare edifici vulcanici cercati senza successo dall’Istituto Idrografico della Marina (nel 2003 e nel 2005): dietro c’è un lavoro di ricerca in mare ed in archivio che il sottoscritto ed il dr. Gianni Lanzafame, vulcanologo dell’INGV di Catania, abbiamo condotto da diversi anni. Dal 1999 ad oggi, il sottoscritto come responsabile del Nucleo Operativo Subacqueo della Lega Navale Italiana di Sciacca e presidente del Club Seccagrande, ha coordinato per conto dell’Ordine dei Geologi della Sicilia, diverse missioni subacquee sui resti dell’isola Ferdinandea, documentandosi anche con materiale storico, sulle eruzioni registrate nel Canale di Sicilia. Il 5 marzo del 2003, un forte terremoto è stato registrato nel Canale di Sicilia ed il sottoscritto ha notato che l’evento sismico è stato accompagnato dallo spiaggiamento di tonnellate di pomici lungo le coste agrigentine. Raccolti alcuni campioni di roccia, le ho fatto analizzare dalla dott.ssa Anna Corsali (INGV di Catania) e l’indagine petrografica ha evidenziato che le pomici si erano liberate non in seguito ad una eruzione sottomarina, ma per crollo di un edificio vulcanico sconosciuto, in seguito all’onda d’urto del terremoto. A questo punto, convinto dalla frequenza dei terremoti e dalla documentazione storica raccolta, che il Canale di Sicilia nascondesse vulcani potenzialmente pericolosi, ho ipotizzato la costituzione di un “Gruppo Pluridisciplinare di Ricerca e Monitorizzazione dell’Attività Vulcanica nel Canale di Sicilia” e la Lega Navale di Sciacca presieduta dall’Avv. Gaspare Falautano, ha cercato di renderlo operativo, mediante un protocollo d’intesa con l’INGV di Catania, rappresentato da Gianni Lanzafame e dal prof. Luigi Tortorici, vulcanologo della facoltà di geologia. Ho manifestato l’esigenza di procedere nella ricerca di questi vulcani, attraverso diversi articoli su giornali e televisioni e la società di produzione televisiva romana GA&A Production, dopo una mia intervista su Panorama, mi ha contattato chiedendomi di collaborare alla realizzazione di un documentario sulla ricerca di questo ipotetico vulcano. La GA&A, disposta a finanziare una campagna di ricerca oceanografica, si è rivolta al CONISMA, ente di ricerca statale universitario, che ha in dotazione un gioiello tecnologico, la nave oceanografica Universitatis, dotata di sofisticati strumenti di ricerca, tra i quali un ecoscandaglio multibeam ed un side scan sonar. Il direttore del CONISMA, l’ing. Annibale Cutrona, analizzata l’ipotesi di ricerca prospettata dal sottoscritto, non solo ha accettato di noleggiare la nave alla GA&A, ma ha deciso di co-finanziare la ricerca. La missione è divenuta operativa il 30 aprile, quando la Universitatis è salpata da Sciacca per una crociera di ricerca che si è protratta per otto giorni. A bordo, oltre il sottoscritto, il dr. Lanzafame, i tecnici, l’equipaggio e la troupe televisiva diretta dal noto documentarista Tullio Bernabei, c’erano anche la dott.ssa Rossana Sanfilippo, paleoecologa e la dott.ssa Alba Santo, petrografa dell’Università di Bologna. Il sottoscritto, oltre che responsabile delle operazioni subacquee (per l’esplorazione, il prelievo di basalto ed il posizionamento di strumenti di rilevamento) e medico di bordo, ha fornito un contributo determinante nella ricerca, quando nel corso del breafing prima della partenza, ha indicato l’area sulla quale concentrare la ricerca, individuata grazie alla documentazione raccolta. E’ stato dunque agevole per la Universitatis, perlustrare un tratto di Canale di Sicilia, ben definito dalle coordinate che ho suggerito e questo ha compensato le ore di ricerca perdute, per via delle condizioni di mare proibitive. La ricerca La ricerca, protrattasi fino all’ 8 maggio 2006, è stata proficua sotto tanti aspetti: dal punto di vista della protezione civile (per lo studio di un tratto di mare prospiciente un’area della Sicilia molto esposto al rischio sismico e da maremoto - ed i recentissimi terremoti di Linosa, di magnitudo 3,6 Richter, lo dimostrano-), dal punto di vista scientifico (il mutibeam ha fatto chiarezza anche sulla faglia dislocante rinvenuta), dal punto di vista della cartografia (è stata ridefinita la cartografia di questa area ed è stata registrata la scoperta ed i nomi dei vulcani, alla Royal Geographical Society), per la prova della presenza di vulcanesimo attivo (abbiamo rinvenuto fumarole ad alta portata), ma anche storica, per eventi che, se cronologicamente possono sembrare lontani, geologicamente sono invece vicini nel tempo. Mi riferisco ad un evento di proporzioni catastrofiche, che nel 365 d. C. sembra avere distrutto moltissime città della Sicilia: un terremoto seguito da maremoto, che distrusse città floride come Selinunte, Allavam ed Eraclea Minoa. Si è trattato di un evento che, se non poteva essere giustificato dalla nascita di un vulcano relativamente piccolo come Ferdinandea, il gigantesco vulcano che ho battezzato Empedocle, grande come l’Etna, giustifica, eccome! La ricerca, effettuata full time, con i tecnici che si alternavano ogni 4 ore, giorno e notte, è stata condotta con l’utilizzo di un ecoscandaglio multibeam, che permetteva di effettuare strisciate di tratti di mare larghi 1 km e lunghi 10 km e con un altro sofisticato strumento, il side- scan sonar. La scoperta. Elaborando ed analizzando i dati che venivano acquisiti, alla fine ci i è resi conto che i banchi che nella cartografia ufficiale si estendono al centro dei quel tratto di Canale di Sicilia compreso tra Sciacca-Seccagrande-Siculiana e Pantelleria, indicati come banchi isolati anche se contigui (banco di Graham, banco Avventura e banco Terribile), non sono altro che un unico complesso vulcanico che copre un’area vasta circa 35 X 20 km! Da questa grande piattaforma sottomarina che si erge da batimetriche che oscillano dai 300 ai 400 metri di profondità (con fosse anche di 640 metri), si ergono vari crateri più o meno vecchi, che hanno rappresentato nel tempo le bocche eruttive del grande vulcano. Il giornalista Attilio Bolzoni, per rendere più comprensibile la morfologia di questo complesso, lo ha paragonato ad una torta dalla quale spuntano tante candeline. In effetti, osservando una splendida ricostruzione tridimensionale dell’apparato vulcanico, si vedono molti crateri ergersi dalla base del vulcano e tra questi, anche i resti dell’isola Ferdinandea. La campagna di ricerca oceanografica a bordo della Universitatis, ha ottenuto un altro grande risultato scientifico, per me motivo di grande soddisfazione: il rinvenimento di un cratere vulcanico al largo di Seccagrande, cercato per anni da navi oceanografiche come la Bannok, l’Aretusa e la Galatea, ma mai localizzato e che è stato trovato grazie ad una intuizione degna di Dan Brown, nel Codice da Vinci. La cartografia che va dalla fine del 1800 ad oggi, riporta al largo delle coste agrigentine, un picco isolato che da un fondale in media di 300m si innalza fino a -45 metri dalla superficie: sicuramente un vulcano. Le precedenti esplorazioni di tale zona, effettuate dagli altri ricercatori anch’esse con il multibeam, avevano dato esito negativo ed anche noi, all’inizio della nostra ricerca, non lo avevamo trovato nel punto indicato nella carte: addirittura invece che un picco, esisteva una vasta depressione di oltre 600 metri! I dati relativi alla presenza di questo vulcano, si rifacevano ad un evento testimoniato dal vulcanologo Giuseppe Mercalli, che riportava in un suo libro, la disavventura del vascello inglese Victory, che nel 1845 rischiò di affondare, per essersi ritrovato nel bel mezzo di una eruzione marina. Mercalli riportava anche le coordinate, ma in quel punto non si era trovato nulla. Dopo le prime fasi di ricerche negative, ho intuito che alla fine del 1800, quando scriveva il Mercalli, il primo meridiano era già posto a Greenwich, ma le coordinate registrate dal comandante del vascello inglese erano del 1845 ed in quell’epoca, il primo meridiano per convenzione, era posto sull’isola di Ferro, nelle Canarie. Ho suggerito dunque all’ufficiale di rotta dell’Universitatis di spostare le nostre ricerche ad ovest, mantenendoci sullo stesso parallelo e immediatamente abbiamo trovato un cratere del diametro uguale a quello del Colosseo (circa 110 metri), dalle caratteristiche morfologiche di un vulcano esplosivo, cioè non come un cono, caratteristica del cratere da eruzione, ma slargato e basso: anche questa forma può confermare che si tratta dei resti dell’esplosione sottomarina del 1845 o di quella notata dall’ammiraglio De Zara nel 1942, durante la battaglia di Mezzo Giugno. Abbiamo quindi fatto immergere un veicolo automatico munito di telecamera, il ROV, per vedere se c’era vita o se si trattasse di un vulcano ancora attivo e dopo avere costatato che dentro il cratere c’erano esseri viventi (pesci ed alghe), ho effettuato, primo in assoluto, una immersione all’interno del cratere, per prelevarne del basalto: ecco perché, forse immodestamente, ho voluto registrare come “ Mac. 06 ” (sigla del mio nome), questo cratere. Il nome Ho invece deciso di chiamare il grande complesso vulcanico “Empedocle”, in primo luogo poiché il grande filosofo del IV sec. a.C. era nativo di Agrigento (e questo vulcano è prospiciente la provincia della città dei templi), ma anche perché questo straordinario personaggio vissuto a cavallo tra la 75° e la 90° olimpiade, fu filosofo, medico (suoi i primi studi sulla fisiologia della vista e fondatore della prestigiosa Scuola Medica Siciliana), fisico (sue le prime esperienze sul peso dell’aria e la pressione atmosferica, ben prima di Torricelli), poeta (ebbe l’onore della lettura delle sue poesie nel corso delle olimpiadi), ma soprattutto per essere stato un grande naturalista, colui che per primo nella sua opera de Reum Natura, parlò dei 4 elementi ingenerati e incorruttibili, Aria- Acqua-Terra-Fuoco. Infine e non per ultimo, perché Empedocle, forse in un delirio di grandezza, decise di scomparire senza lasciare traccia del suo corpo, come un dio e per questo si gettò nel cratere dell’Etna; ma secondo la tradizione il vulcano, irritato da tanta arroganza, espulse con la lava uno dei suoi sandali, pietrificato, per smascherare il trucco; nel luogo ove venne rinvenuto il sandalo, fu edificato un tempietto ancora oggi ricordato come Torre del Filosofo. Risultati e prospettive. La scoperta di Empedocle ha suscitato una vasta eco non solo nei media italiani, ma anche all’estero. Il direttore dell’INGV, prof. Enzo Boschi, nel corso di una intervista per Il Giornale, ha dichiarato che la scoperta rappresenta “un tassello molto importante nel quadro dello sviluppo della vulcanologia nazionale” e ancora “ … siamo certamente più al sicuro adesso che prima, quando non ne conoscevamo l’esistenza”. Nella stessa intervista assicura che si potrà monitorare il complesso e seguirne gli sviluppi dei processi eruttivi. Enzo Boschi (la Repubblica, 22 luglio), molto concretamente comunque chiede fondi per una ricognizione complessiva dei vulcani attivi in tutto il Mediterraneo, fondi che alla luce di tanto clamore arriveranno e questa volta, si spera, non concentrati nella Sicilia orientale, ma nella Sicilia sud-occidentale. La prima del documentario “Caccia al Vulcano” prodotto dalla GA&A ha avuto luogo a Parigi nel 2007 e quindi il documentario è stato trasmesso in Australia, Giappone ed in Italia, da National Geographic. Il documentario ha vinto il I° premio al Festival Internazionale del Cinema Scientifico, per il 2007. Sarebbe auspicabile a questo punto, creare a Sciacca una sezione distaccata dell’INGV ed un Istituto di Geologia Marina dipendente dal Polo Universitario Agrigentino, unico in Italia e forse nel mondo, per il fatto di potere disporre di un laboratorio di ricerca non artificiale, ma naturale a sole 23 miglia da Sciacca, dove studiare dal vivo la vulcanologia sottomarina; oltre le varie materie inerenti la geologia classica, l’Istituto potrebbe offrire anche agli studenti di altre facoltà, come Biologia e Medicina, la possibilità di seguire lezioni di biologia Marina e di “Medicina delle Catastrofi”, istituendo un apposito corso con queste materie d’insegnamento. Tale peculiarità potrebbe rappresentare un unicum, un esclusivo Campus Universitario con laboratori sottomarini che stagisti di varie nazioni, potrebbero frequentare su richiesta, come avviene oggi a Malta dove sotto l’egida dell’ONU, si trova uno dei pochi Istituti Internazionali di Giurisprudenza per lo studio del Diritto Internazionale, diretto dal prof. David Attard, frequentato annualmente da studenti provenienti da ogni parte del mondo. Per quanto riguarda il turismo, anche la realtà rappresentata dal nutrito esercito di sommozzatori sportivi (composto in Europa da oltre 2 milioni di individui), oltre che dal museo del Mare, di imminente realizzazione, sarebbe attratta da Sciacca per il fatto di potere effettuare immersioni guidate sui resti dell’isola Ferdinandea e sugli altri vulcani. Sono idee che a mio modesto avviso, sono facilmente realizzabili e che, oltre ad un interesse scientifico, comporterebbero anche un concreto riflesso positivo per l’economia della zona.

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01/01/2009 - 1991 1992 Presidente Beniamino Macaluso

Artista Gery Scalzo

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